Ha consentito di superare un modello sanzionatorio di natura repressiva punitiva, quale era delineato dal previgente R.D. n. 653/1925, introducendo un nuovo sistema ispirato al principio educativo riparatorio-risarcitorio.
La sanzione irrogata, anziché orientarsi ad espellere lo studente dalla scuola, deve tendere sempre verso una responsabilizzazione del discente all’interno della comunità di cui è parte.
Si deve puntare a condurre colui che ha violato i propri doveri non solo ad assumere consapevolezza del disvalore sociale della propria condotta contra legem, ma anche a porre in essere dei comportamenti volti a riparare il danno arrecato. Strumento disciplinare con funzione educativa.
Il DPR 249/1998 all’art. 4 che le scuole adottino un proprio Regolamento Disciplinare che affronti le questioni connesse con il bullismo con specifica attenzione e severità, prevedendo, da un lato, procedure snelle ed efficaci e, dall’altro, una variegata gamma di misure sanzionatorie nel rispetto del principio di proporzionalità tra sanzione irrogabile ed infrazione disciplinare commessa.
Costituisce un principio educativo fondamentale la circostanza che la violazione delle regole poste a garanzia della libertà di tutti dia luogo alle conseguenze sanzionatorie previste dalla legge. Ne consegue che gli studenti devono osservare i doveri sanciti dallo Statuto, in particolare gli art. 3 e 4, il personale scolastico alle norme di deontologia professionale e ai Contratti Colletivi di lavoro. Ai sensi derll’art. 4 comma 7 del DPR 249/1998, la regola generale è che “il temporaneo allontanamento dello studente dalla comunità scolastica può essere disposto solo in caso di gravi o reiterate infrazioni disciplinari, per periodi non superiori a quindici giorni”.
Il divieto di disporre un allontamento superiore a quindici giorni, posto dal comma 7, può essere derogato quando ricorrano due ipotesi eccezionali e tassative di particolare gravità previste dal comma 9: – quando siano stati commessi reati; -quando vi sia pericolo per l’incolumità delle persone. Art. 4 DPR 249/1998 una finalità educativa del provvedimento disciplinare; la natura “personale” della responsabilità disciplinare; il principio di separazione della condotta dalla valutazione del profitto; il principio della riparazione del danno; la facoltà dello studente di esporre le proprie ragioni; la possibilità di convertire le sanzioni in attività a favore della comunità scolastica; l’obbligo di mantenere, per quanto possibile, un rapporto della scuola con lo studente e i genitori anche durante periodi di allontanamento dalla comunità al fine di favorire il rientro; l’attribuzione in capo ad un organo collegiale del potere di decidere l’allontanamento dalla scuola; la facoltà per lo studente di iscriversi, anche in corso di anno, ad altra scuola.
Gli articoli 37 e 40 della Convenzione sui diritti dell’infanzia e dell’adolescenza
La Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti dell’infanzia e l’adolescenza (di seguito anche “Convenzione” o “CRC”) – agli articoli 37 e 40 – pone precisi limiti e stabilisce puntuali requisiti affinché lo ius puniendi dell’ordinamento possa dirsi legittimo, limiti e requisiti che afferiscono tanto alle garanzie sostanziali quanto a quelle processuali.
Il settore penale si conferma dunque ancora una volta rivelatore dei delicati rapporti tra Stato e cittadino, tra potere e libertà, nei cui interstizi operano i diritti fondamentali.
Le previsioni della Convenzione sono tutt’altro che generiche: l’art. 37 sancisce il divieto di tortura e di pene o trattamenti crudeli, inumani o degradanti, nonché della pena capitale e dell’ergastolo. Enuclea poi il principio di legalità e di extrema ratio dell’intervento penale, il principio di specialità del trattamento nei confronti delle persone minorenni e il diritto alla difesa e al controllo giudiziario sui provvedimenti emessi.
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L’art. 40 invece, dopo aver chiarito il finalismo educativo che deve permeare l’intervento della giustizia penale in ambito minorile, elenca specificamente le garanzie processuali che vanno assicurate al minorenne accusato di aver commesso un reato, a partire dal principio di non colpevolezza, passando per il diritto ad essere informato e – di nuovo – difeso in modo appropriato, il diritto ad un giusto processo in tempi ragionevoli, il diritto di essere assistito dai propri genitori, salvo che ciò sia contrario al suo interesse superiore, il diritto al silenzio e al contraddittorio, il diritto a comprendere e dunque all’interpretariato, sino al diritto alla riservatezza e alla protezione della sua vita privata.
La CRC impegna poi gli Stati parte a stabilire un’età minima per l’imputabilità dei minori e a favorire forme di intervento extra-giudiziarie – senza che questo metta in discussione le garanzie delineate – ogni qual volta ciò sia possibile.