Per quanto riguarda le forme di tutela sul piano civile, anche in questo caso è possibile fare riferimento a quanto già illustrato nell’apposita guida in tema di bullismo.
Ciascuna delle condotte riconducibili al fenomeno del cyberbullismo è infatti idonea a cagionare pregiudizi alla persona che ne è vittima, valutabili sotto tutti i profili che compongono le categorie del danno patrimoniale e non patrimoniale.
Nel caso in cui autori di tali comportamenti siano soggetti minorenni, potrà porsi il problema dell’eventuale responsabilità dei soggetti tenuti alla loro vigilanza e alla loro educazione, ai sensi degli artt. 2047 e 2048 cod. civ.
Forme di manifestazione del fenomeno
Gli studiosi che si sono occupati di cyberbullismo hanno individuato alcune categorie per descrivere le diverse forme in cui può manifestarsi il fenomeno. Con terminologia inglese, si è dunque parlato di:
1. flaming, consistente nella pubblicazione di messaggi dal contenuto aggressivo, violento, volgare, denigratorio, in danno di un utente nel momento in cui questi compie una determinata attività online (ad esempio quando esprime il suo pensiero intervenendo su un social network);
2. harassment, consistente nell’invio continuo e reiterato di una moltitudine di messaggi informatici di carattere volgare, aggressivo e minatorio (attraverso strumenti di comunicazione come sms, e-mail, chat, social network, ecc…) da parte di uno o più soggetti nei confronti un individuo assunto come bersaglio; a questo genere di condotte – seppur con i dovuti distinguo quanto a motivazioni e cause scatenanti – è assimilabile il fenomeno del cyber-stalking, spesso posto in essere da chi, non accettando un rifiuto o la fine di una relazione, inizia a perseguitare tenacemente la persona da cui è stato respinto, avvalendosi di canali informatici o telematici per porre in essere una prolungata serie di molestie o minacce;
3. denigration, consistente nella diffusione in via informatica o telematica di notizie, fotografie o video (veri o anche artefatti riguardanti comportamenti o situazioni imbarazzanti che coinvolgono la vittima), con lo scopo di lederne l’immagine, offenderne la reputazione o violarne comunque la riservatezza; nell’ambito di questa categoria si fanno rientrare anche alcune ipotesi nelle quali forme più tradizionali di bullismo si avvalgono delle potenzialità di condivisione offerte dai nuovi mezzi di comunicazione per garantirsi una più ampia platea di spettatori, attraverso la divulgazione in rete o tramite sistemi di messaggistica di contenuti (spesso video) che gli stessi bulli registrano mentre sottopongono la propria vittima a maltrattamenti e soprusi (pratica che prende il nome di cyber-bashing o happy slapping);
4. impersonation, consistente nelle attività non autorizzate poste in essere da un soggetto il quale, dopo essersi in qualche modo procurato le credenziali di accesso ad uno o più account di servizi online in uso alla vittima, se ne serve per creare nocumento o imbarazzo (ad esempio attraverso l’invio di messaggi o la pubblicazione di contenuti inopportuni, facendo credere che gli stessi provengano dalla vittima);
5. outing and trickery, consistente nella condotta di chi, avendo ricevuto o detenendo dati, immagini intime o altro materiale sensibile della vittima (ricevuti direttamente da quest’ultima o, comunque, realizzati con il suo consenso), li diffonde tramite messaggi, chat o social network o comunque li carica in rete senza l’approvazione della vittima o addirittura contro la sua esplicita volontà, rendendoli così accessibili ad una moltitudine di utenti.