Il processo al bullo nasce da un’esperienza lavorativa della Presidente dell’ADGI Caserta, avv. Anna Di Mauro, che nell’anno scolastico 2018-2019, è stata coinvolta in un progetto dell’Oratorio Giovanni Paolo II ANSPI-APS- ETS di Giffoni Valle Piana (SA), chiamato “Cyber Brave, Coraggio in Circolo”, vincitore di un bando “sul disagio minorile, abbandono scolastico, Bullismo e Cyber bullismo”, con la Regione Campania, finanziato dal Fondo Sociale Europeo.
Gli utenti del progetto erano giovani di età tra i 13- 16 anni a rischio abbandono scolastico segnalati dai Servizi Sociali ed alcuni istituti scolastici dei Comuni della provincia di Salerno.
Il laboratorio affidato all’avvocata riguardava la tematica dell’Educazione alla legalità collegato a quello sull’Educazione ai sentimenti, tenuto da tre psicologhe, nell’ambito dell’Istituto Comprensivo Fratelli Linguiti di Giffoni Valle Piana (SA).
Da svolgere nell’ambito di una porzione dell’anno scolastico 2018/2019, occorreva fare apprendere ai ragazzi il valore della norma giuridica e il peso delle conseguenze della sua violazione, nell’ambito di un percorso di crescita personale, responsabilizzante, funzionale alle relazioni sociali tra pari.
Un’impresa da gestire non da poco, poiché alla stessa classe erano assegnati sia i ragazzi segnalati come bulli sia quelli indicati come bullizzati.
Dinamiche
Le dinamiche di potere si sono evidenziate immediatamente dalla scelta dei banchi in aula al modo di porsi di fronte all’autorità: di sfida o indifferenza da una parte e di totale sottomissione dall’altra.
Il lavoro
Il lavoro in aula è stato complesso, richiedeva di affrontare da più fronti le problematiche dei ragazzi. Occorreva renderli edotti di tutti i passaggi, acquisirne un grado di fiducia sufficiente per essere identificata come specialista e non come “docente”. Essere in grado di mettersi in ascolto per ogni singola storia e di mettere anche gli altri nelle stesse condizioni. Generare una “distanza” di sicurezza tra tutti basata sul concetto di prossemica funzionale all’ascolto “efficace” e rispettoso.
Occorreva che tutti fossero consapevoli del “contesto” e del “luogo” in cui venivano calati per quelle due ore e rendere quelle due ore “sufficienti” per far esprimere tutti.
Era necessario che “tutti” avessero un “tempo” e uno “spazio”.
Tutti dovevano sentire che il loro “esserci” era significante per se stessi e il gruppo.
Si sono organizzati vari laboratori tematici nell’ambito dell’Educazione alla legalità:
1. “Costruisco la mia carta d’identità”;
2. “Presento il mio albero genealogico-relazionale”;
3. “Ti racconto la mia settimana comprensiva di in-felicità e felicità”;
4. “Cosa significa essere “fieri di sé” (disegno e scrivo);
5. “La mia immagine attraverso gli occhi dei miei genitori”;
7
6. “Genitori, questi sconosciuti”;
7. “Processo al bullo”.
La diffidenza e le Sette Regole:
Lo scoglio da superare è stata la diffidenza di alcuni genitori, di alcuni docenti e, altresì, di alcune psicologhe.
È stato fondamentale, sin dal primo incontro, concordare con i ragazzi una serie di regole da rispettare:
Sette regole
1. Non uscire senza permesso,
2. Non correre nei corridoi,
3. Non sbattere la porta,
4. Non sollevare il banco,
5. Non urlare nel corridoio,
6. Non colpire il compagno di classe,
7. Non insultare il/la docente)
con l’applicazione di sole due sanzioni:
1. In caso di violazione delle prime cinque, c’è il ritiro del telefonino;
2. In caso di violazione delle ultime due, si esce dal gruppo/progetto.
Venivano lette, a turno, dai ragazzi ad ogni incontro.
Quindi, si è creata un’autovalutazione del comportamento in aula e di controllo reciproco sotto la supervisione della responsabile.
Il Processo al bullo
Il lavoro con i ragazzi doveva concludersi non solo in modo da verificare le nozioni apprese ma, anche, per esaminare il grado di rispetto reciproco maturato.
Quindi, si è proposto se volessero simulare un processo al bullo e la risposta è stata subito positiva.
Ad alcuni è stato assegnato un ruolo (cancelliere, PM, CTU, il commissario, i genitori…), altri lo hanno scelto (quello di testimoni oltre quello di bullo che ha assunto il ruolo di imputato).
Le vittime hanno espresso i loro sentimenti e raccontato la loro versione dei fatti, i testimoni che erano i <gregari del bullo> inaspettatamente hanno preso tutti posizione contro il bullo spiegando anche le motivazioni per le quali si sentivano sottomessi allo stesso e perché non riuscissero a respingerlo in alcun modo.
Una volta arrivati al bullo, lo stesso dava la sua versione dei fatti colpevolizzando le vittime di essere loro incapaci di resistergli e che con il loro atteggiamento passivo provocavano in lui un comportamento di <odio>.
Il PM mostrava al Giudice tutte le prove che, il comportamento del bullo alterava tutti gli equilibri della classe, provocava sofferenza, risentimento, rabbia anche da parte dei professori e metteva in difficoltà anche i genitori.
Alla fine, il Giudice emetteva la sua sentenza, condannando il bullo a <chiedere scusa> alle vittime ed ai suoi gregari.
8
In aggiunta, il Giudice si fece promettere dal Bullo che non avrebbe abbandonato la scuola ma, che avrebbe studiato con profitto e educazione. Il bullo rispondeva di aver compreso la lezione, chiedendo scusa con molta mestizia, dichiarando di non essersi accorto di ferire anche i suoi amici, di aver paura di rimanere solo e che avrebbe cercato di terminare gli studi in quanto si riteneva una persona intelligente.
Così nasce l’idea del processo al bullo!!!